Sport, 07 luglio 2022

“Il basket è fermo da anni, per questo non lo seguo più”

Manuel Raga junior torna finalmente a parlare dopo un lungo periodo di silenzio

LUGANO - Quando parliamo di Manuel Raga, spesso e volentieri la nostra attenzione si focalizza sull’indimenticato campione messicano che ha fatto impazzire le platee di Varese, di tutta Italia e la piccola ma chiassosa folla del già allora vetusto impianto luganese della Gerra (si era a metà degli Anni Settanta). Gli appassionati non possono però dimenticare nemmeno le gesta di suo figlio Manuel junior che per diversi anni, facendo la spola tra Lugano e SAV Vacallo, si è pure ritagliato uno spazio importante della scena cestistica svizzera, fra un’apparizione in Europa (ha giocato per una stagione in in Francia) ed uno stage negli Stati Uniti a livello di college. Niente di eclatante, per altro.


La sua è stata una carriera ricca di successi (tra Tigers e SAV ha vinto quattro titoli e sei coppe nazionali), diventando così uno dei grandi protagonisti, soprattutto per le sue riconosciute capacità difensive. Non a caso gli allenatori gli hanno fatto marcare gli avversari più forti. Con Manuel Raga junior, che da molto tempo è scomparso dalle scene cestistiche, ci siamo trovati nei giorni scorsi per una chiacchierata a 360 gradi e soprattutto per rinverdire alcuni momenti significativi che hanno caratterizzato la sua carriera sportiva.


Manuel: a 14 anni lei ha iniziato nelle giovanili della SAM Massagno: come mai così tardi? 
Semplicemente perché prima ho voluto provare altri sport, in primis il calcio. Poi mi sono avvicinato alla pallacanestro perché mi sono accorto che era una disciplina interessante e spettacolare. 


Suo padre “Manolo” non centra nulla con la scelta di avvicinarsi al mondo della pallacanestro? 
Assolutamente no. Mi ha lasciato carta bianca, poi naturalmente non ha mancato di darmi i giusti consigli per migliorarmi tecnicamente. Parliamo degli anni ’80 quando il basket ticinese stava comunque esaurendo le sue ultime cartucce prima di entrare in una crisi profonda con alcuni fallimenti e vari ridimensionamenti. Si praticava ancora della buona pallacanestro e la gente frequentava le varie palestre in un buon numero.


Di suo padre conosceva le gesta e ne ha seguito la sua carriera, anche se indirettamente. 
Mi sono reso conto della sua grande classe parlando con gli amici. Quanti racconti delle sue gesta! Tutti conditi da aneddoti e curiosità. Ma per me tutto ciò era normale, del resto la sua la presenza non è mai stata ingombrante. Ma sapevo che ogni suo consiglio valeva oro vista la sua lunga e prestigiosa esperienza. 


Nel suo percorso sportivo, si diceva prima, ha ottenuto diversi titoli e coppe: quali sono stati i momenti più indimenticabili? 
Certamente la Coppa Svizzera con la SAV Vacallo vinta contro il Lugano al Forum di Friborgo e la partita amichevole giocata a Pyongyang contro la Corea del Nord nella quale militava un giocatore alto 2 metri e 30 centimetri. Incredibile, straordinaria esperienza. 



È giusto dire che Casalini e Pastore sono stati i due tecnici che hanno influito maggiormente sulla sua crescita?
Ognuno ha avuto i suoi pregi e difetti. Casalini era metodico ma quando doveva alzare la voce lo faceva eccome. Ricordo la finale del Forum di Friborgo. Nel primo tempo contro i Tigers eravamo in vantaggio di una ventina di punti ed eravamo rientrati nello spogliatoio euforici. Ebbene, lui se ne è accorto e ci ha rimproverati facendo tremare le mura dello spogliatoio. Pastore ero uno che controllava tutti i dettagli, in modo maniacale direi. Con lui però non c’è mai stato un grande feeling e quindi il rapporto è andato avanti tra alti e bassi. Comunque due grandi tecnici. 


Lei è stato definito come un grande ed implacabile difensore. Questa sua attitudine l’ha sempre avuta o l’ha imparata cammin facendo?
L’ho formata durante il mio soggiorno negli Stati Uniti nei colleges. Lì ho capito quanto fosse importante annullare l’avversario prima di segnare un canestro. È diventato un mantra: provavo più soddisfazione ad impedire al rivale di andare a canestro piuttosto che realizzare.


Non tutto però è filato liscio.
Purtroppo, malgrado il mio grande impegno, in qualche circostanza ho avuto le mie gatte da pelare. Mi ricordo un duello tra me nella SAV e il “luganese” Washington. Le ho provate tutte, non ho trascurato alcun dettaglio ma alla fine l’americano ha fatto quello che ha voluto. Comunque ci sono passato sopra, ma vi assicuro che quel giorno mica l’ho digerita bene quella sfida, finita fra male.


Il suo periodo migliore?
Di sicuro quello vissuto nella SAV Vacallo quando in squadra giocavano i vari Fillmore, Lisicky, Sassella, Mujesinovic tanto per citare alcuni nomi e un certo Gurgurevic, un due metri che ha fatto faville anche in Italia nell’Avellino, risultando un rimbalzista di altissimi livello. Un grande ambiente, dentro e fuori dal campo. Anche nelle sconfitte abbiamo saputo mantenere un grande entusiasmo. Uno spirito speciale e direi spettacolare. 


Tra Lugano e SAV ha fatto l’altalena, con i bianconeri ha provato anche l’Eurolega. 
Un bellissimo periodo anche quello, visto che avevamo battuto anche squadroni fortissimi, in panchina un certo Markowski. Se però devo scegliere il miglior periodo, come detto, scelgo quello con la SAV 2000. Poi negli Stati Uniti, quando ho incontrato i nonni di un mio compagno di squadra: indiani fino al midollo vestiti con gli indumenti storici delle loro tribu. 


Torniamo a suo padre, è vero che più volte le ha chiesto di raggiungerla in Messico?
Sì è vero ma io ho rifiutato per motivi personali.


Con lui però lei mantiene contatti regolari.
Certamente, ci sentiamo al telefono e in videochiamata. Ci aggiorniamo sempre sulle nostre attività e poi quando viene ci vediamo. Ci mancherebbe.


Difficile dimenticare il suo abbraccio con suo padre al Palapenz di Chiasso durante una partita della SAV Vacallo, un abbraccio in tribuna immortalato da una moltitudine di flash fotografici. 
Sì è stato un bel momento, mi ha fatto enormemente piacere; nei suoi confronti sento sempre un grande affetto. 


Non la vediamo mai nelle palestre, per quale motivo? 
Il basket nostrano è fermo da anni. Senza una vera crescita . Finché le cose non si muoveranno dubito che il futuro del nostro movimento potrà avere sbocco. Per questo preferisco starne fuori. 


Lei ha allenato anche nei movimenti giovanili, specie le selezioni ticinesi: la rivedremo ancora all’opera?
Torno alla domanda precedente: dovranno cambiare certe cose prima che mi riavvicini al basket. 


Per finire: mandi da queste colonne un saluto speciale... 
Ovviamente a mio padre Manuel in Messico, a mia madre Esma, a mio fratello Fidel e a tutti gli amici che mi hanno sempre apprezzato, non solo come giocatore.

GIANNI MARCHETTI
 

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