Svizzera, 05 settembre 2022

Un’iniziativa opportunistica, non opportuna

La cosiddetta “iniziativa sull’allevamento intensivo” chiede che la produzione svizzera e l’importazione estera di alimenti di origine animale (carne, latte e uova) siano sottoposte a criteri particolarmente stringenti ed onerosi.
Alcuni dei suoi sostenitori sono benintenzionati, altri malinformati ma tutti sono parte della cinica equazione di chi l’ha pianificata e promossa: “Sentience”, un’organizzazione antispecista già fautrice di varie iniziative cantonali nella Svizzera tedesca per la promozione della dieta vegana.
Dato che questa associazione non ha moderato le sue posizioni, occorre un enorme sforzo per credere che lei, assieme agli altri promotori, desiderino solo delle migliori condizioni di allevamento per gli animali da reddito e non l’abolizione del sistema stesso. Esagerazione? Sul suo sito Sentience non fa alcun tentativo di nasconderlo e nemmeno lo hanno fatto durante la conferenza stampa di presentazione della campagna.

A chi piace l’allevamento intensivo?

Il nome dell’iniziativa è stato scelto in un atto di calcolato opportunismo volto a suscitare solo facili reazioni emotive. Su una cosa gli iniziativisti hanno però ragione: all’opinione pubblica svizzera ed ai contadini svizzeri non piace l’allevamento intensivo. Infatti non lo pratichiamo ed è per questo che molti contadini si sentono legittimamente offesi nell’essere definiti tali. Uno dei molti problemi dell’iniziativa è che colpirebbe una parte importante degli allevamenti svizzeri e non solo quel presunto 5% indicato come problematico dai suoi promotori. Il 71% delle aziende svizzere allevano animali e verrebbero quindi toccate in modo anche importante e decisivo dall’iniziativa.


Benessere degli animali da reddito – la realtà svizzera

È dagli anni 90 che la Svizzera è pioniere nei programmi per il benessere degli animali da reddito. La legislazione è in continuo aggiornamento ed è da tempo una tra le più severe al mondo. Parlare di allevamento intensivo in Svizzera, per le dimensioni delle sue aziende agricole e per la sua legislazione, non ha dunque alcun senso.
La riprova è che quando negoziamo trattati commerciali con altre nazioni, il tema delle peggiori condizioni di allevamento estere viene regolarmente sollevato. In Svizzera si possono allevare al massimo 18’000 polli per azienda: la nostra media nazionale è però di 7'654, nettamente inferiore. In Germania, la media è invece di 28'736 esemplari, per non parlare del minore benessere generale degli animali. Se adottassimo le leggi tedesche, nessun allevamento svizzero chiuderebbe. Al contrario, sarebbe praticamente impossibile trovare allevamenti tedeschi che potrebbero continuare a lavorare con le leggi svizzere!

Il broccolo e la bistecca

Partiamo da un dato di fatto: meno produzione significa maggiori costi fino a quando la domanda non inizia a contrarsi. La Confederazione stima che i rincari sarebbero tra il 5% ed il 20%. Come rispondono gli iniziativisti? Affermando che 1/3 del cibo acquistato finisce oggi nella spazzatura e che quindi, se i prezzi aumentassero, staremmo tutti più attenti. Condividiamo la lotta allo spreco alimentare e come UCT svolgiamo anche azioni di sensibilizzazione a tal proposito ma questa percentuale fa riferimento a tutti gli alimenti, non solo a quelli di origine animale. Equiparare mezzo chilo di broccoli e di carne e pretendere che finiscano nella spazzatura con la medesima frequenza è veramente pretestuoso, oltre che offensivo verso quelle famiglie e persone a basso reddito che già oggi devono considerare attentamente cosa e quanto acquistare.

Votiamo un chiaro e convinto NO!

Lo scopo dell’iniziativa non è dunque abolire qualcosa che, ancora una volta, non esiste in Svizzera. È usare questo spettro per ridurre notevolmente il consumo di carne, latte e uova rendendoli molto più cari tramite lo smantellamento dell’allevamento di animali da reddito in Svizzera e l’imposizione di altrettanti legacci alle importazioni (che però non sarebbero accettati dall’Organizzazione Mondiale del Commercio ma tant’è, dato che questa competizione artificiale distruggerebbe comunque ogni futuro per il settore dell’allevamento svizzero). L’aumento incondizionato del turismo degli acquisti, le migliaia di posti di lavoro che si perderebbero, come dimostrato da un recente studio del professor M. Binswanger della Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale (FHNW), la realtà delle eccellenti condizioni di allevamento dei nostri animali da reddito e gli anni di impegno profuso nel garantire che la nostra legislazione relativa al benessere animale sia all’avanguardia a livello planetario sarebbero solo le vittime sacrificali per un ipotetico mondo migliore.

Sem Genini, Deputato in Gran Consiglio per la Lega dei Ticinesi

 

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