L’iniziativa proclamata nel discorso programmatico del presidente Xi alla sua nomina, “prosperità per tutti”, ha indotto molti tra i cinesi più ricchi a spostare il loro denaro in paradisi fiscali, quali Singapore e Macao, attraverso il business del gioco d’azzardo, utilizzando persino canali bancari della Corea del Nord. Nonostante tutto, la Cina continua ad occupare il primo posto nel mondo per numero di miliardari e soprattutto Pechino vanta il primato in termini di ricchezza, con 109 di loro che vi risiedono (a New York se ne contano solo 103, come a Shangai) tra cui lo stesso presidente Xi e molti alti esponenti del Partito Comunista.
Nella classifica mondiale, dopo Cina e Stati Uniti, troviamo l’India (187 miliardari), la Germania (144 miliardari), il Regno Unito (134 miliardari) e la Russia (70 miliardari), nonostante tutte le sanzioni occidentali imposte a Mosca dopo l’invasionedell’Ucraina. In Svizzera, i miliardari che hanno fortune per figurare nel Bloomberg Billionaires Index sono solo 8 (cittadini svizzeri o stranieri residenti in Svizzera) e 7 cittadini italiani. Cinque degli otto fanno parte di due note e storiche famiglie di imprenditori, gli altri si sono trasferiti in Svizzera negli anni per motivi spesso legati al proprio giro d’affari. Il più ricco dei miliardari rossocrociati (nell’elenco dei primi 100 al mondo) è di Ginevra, ma di origini italiane e si occupa di finanza, sport e filantropia.
In Asia, con il 57% della popolazione del pianeta, si conta il 49% dei miliardari mondiali e il 39% della ricchezza complessiva, mentre in America del Nord ed in Europa, sommate insieme con il 15% della popolazione, troviamo il 46% di miliardari ed il 57% della ricchezza. È abbastanza evidente che non si può definire una situazione in equilibrio, in termini di denaro. E va fatta un’altra constatazione: nessun cinese, come persona singola, si situa nell’elenco dei primi 10 miliardari al mondo, europei ed americani, l’unico asiatico al decimo posto è un magnate indiano. Si potrebbe ritenere che faccia parte della politica adottata dal governo di Pechino, che ha il preciso scopo di tenere sotto controllo i singoli e di intervenire nazionalizzando imprese e giro d’affari. Come ha di recente scritto Henny Sender, analista dei mercati: “L’interrogativo che (Pechino) si pose un decennio fa, si ripresenta ai giorni nostri. Quando la ricchezza è troppa ricchezza? A quale punto un imprenditore scavalca l’invisibile linea e si trasforma in un capitalista sfruttatore e si deve intervenire?”.
Questa incertezza ha allarmato molti e nell’ultimo trimestre dello scorso anno gli investimenti di capitale per le imprese sono scesi a 7 miliardi di dollari contro i 27 miliardi dello stesso periodo del 2021.
Tra l’élite dei “paperoni” cinesi si è rafforzata la preoccupazione per la possibile imposizione
di una nuova tassa sul loro patrimonio e persino sulla loro sicurezza personale. Un allarme è scattato quando sembrava essere sparito, per poi ricomparire, Bao Fan, patron della China Renaissance quotata in borsa, e dal tenore di vita un po’ eccentrico (girava in una Rolls-Royce color porpora).
Della nuova classe di super ricchi cinesi si sa ben poco, ma i membri di questo circoscritto gruppo sono destinati a diventare sempre più ricchi quando i loro prodotti invaderanno ulteriormente i mercati del mondo per la loro imbattibile competitività. Si tratta, per la maggior parte, di persone che hanno costruito la loro fortuna dal nulla in vari settori, dalla tecnologia, agli alimentari, dalla chimica ed al manifatturiero ed ora, per convenienza, stanno diventando importanti anche all’interno del Partito Comunista.
In testa alla classifica c’è un certo Zhong Shanshan, fondatore del gruppo YST, la più grande azienda di bevande in Cina che deve la sua immensa fortuna alla quotazione alla Borsa di Hong Kong di un’acqua minerale. Accanto, se non prima, c’è Jack Ma (59 anni) fondatore del portale di e-commerce Alibaba. In gennaio, Pechino ha deciso di acquistare una “golden share” delle sue azioni, per formalizzare un maggiore controllo da parte delle autorità e dare al governo un notevole potere decisionale su una parte del suo giro d’affari. A seguito di tutto questo, l’anno scorso Ma ha trascorso parecchio tempo in Giappone stringendo accordi con il sistema finanziario nipponico.
Altro miliardario è un ex agricoltore di 40 anni fondatore del marketplace di prodotti alimentari, forniti direttamente dai contadini cinesi e vanta 240 milioni di clienti. Poi c’è He Xiangjian (79 anni), che è il re degli elettrodomestici. Nel 1968 ha fatto partire una piccola impresa per la produzione di tappi per bottiglie, nel 1980 è passato ai ventilatori e poi ai condizionatori ed ora agli elettrodomestici “bianchi” (basso consumo) venduti in tutto il mondo. Nell’elenco figura anche Qin Yinglin, nato poverissimo in una famiglia che possedeva solo 22 maiali ed ora la sua società ne macella 5 milioni all’anno.
La Cina deve però fare molta attenzione perché lo scenario sta cambiando: prima i miliardari esportavano solo i capitali, di recente si spostano anche fisicamente con le loro imprese ed inoltre anche i milionari (molto meno ricchi) sembrano seguire lo stesso percorso, valutando le opzioni loro offerte dal cosiddetto “polo” occidentale (Europa, USA, ed alleati), nel tentativo di eludere lo stretto controllo del governo di Pechino.
A cura di VITTORIO VOLPI
Della nuova classe di super ricchi cinesi si sa ben poco, ma i membri di questo circoscritto gruppo sono destinati a diventare sempre più ricchi quando i loro prodotti invaderanno ulteriormente i mercati del mondo per la loro imbattibile competitività. Si tratta, per la maggior parte, di persone che hanno costruito la loro fortuna dal nulla in vari settori, dalla tecnologia, agli alimentari, dalla chimica ed al manifatturiero ed ora, per convenienza, stanno diventando importanti anche all’interno del Partito Comunista.
In testa alla classifica c’è un certo Zhong Shanshan, fondatore del gruppo YST, la più grande azienda di bevande in Cina che deve la sua immensa fortuna alla quotazione alla Borsa di Hong Kong di un’acqua minerale. Accanto, se non prima, c’è Jack Ma (59 anni) fondatore del portale di e-commerce Alibaba. In gennaio, Pechino ha deciso di acquistare una “golden share” delle sue azioni, per formalizzare un maggiore controllo da parte delle autorità e dare al governo un notevole potere decisionale su una parte del suo giro d’affari. A seguito di tutto questo, l’anno scorso Ma ha trascorso parecchio tempo in Giappone stringendo accordi con il sistema finanziario nipponico.
Altro miliardario è un ex agricoltore di 40 anni fondatore del marketplace di prodotti alimentari, forniti direttamente dai contadini cinesi e vanta 240 milioni di clienti. Poi c’è He Xiangjian (79 anni), che è il re degli elettrodomestici. Nel 1968 ha fatto partire una piccola impresa per la produzione di tappi per bottiglie, nel 1980 è passato ai ventilatori e poi ai condizionatori ed ora agli elettrodomestici “bianchi” (basso consumo) venduti in tutto il mondo. Nell’elenco figura anche Qin Yinglin, nato poverissimo in una famiglia che possedeva solo 22 maiali ed ora la sua società ne macella 5 milioni all’anno.
La Cina deve però fare molta attenzione perché lo scenario sta cambiando: prima i miliardari esportavano solo i capitali, di recente si spostano anche fisicamente con le loro imprese ed inoltre anche i milionari (molto meno ricchi) sembrano seguire lo stesso percorso, valutando le opzioni loro offerte dal cosiddetto “polo” occidentale (Europa, USA, ed alleati), nel tentativo di eludere lo stretto controllo del governo di Pechino.
A cura di VITTORIO VOLPI