Un campione “argentino”
Paolo Sturzenegger (detto Paulo) nasce a Rosario, in Argentina, da genitori zurighesi, figli di emigrati. È un attaccante di razza: personalità tipica del mondo gaucho, grande trascinatore, coraggioso e pure scaltro. A Lugano arriva nel momento giusto, ad inizio Anni Trenta del secolo scorso. Il calcio in città è già un fenomeno sociale: sulle rive del Ceresio, come a Bellinzona, non si parla d’altro. I venti di guerra sono ancora lontani, anche se nelle vicine Germania e Italia i totalitarismi stanno facendo proseliti. Comunque: la squadra è diretta da Eugenio Payer e Sturzenegger è il suo terminale offensivo. Il Lugano diventa così una mina vagante e gli squadroni di Oltre Gottardo si accorgono presto del suo valore. Tuttavia manca la ciliegina sulla torta, manca il grande risultato, il colpo per la storia. Ci pensa però Sturzenegger. Nell’aprile del 1931 il Lugano ha la ghiotta occasione di diventare finalmente adulto: in un Campo Marzio gremitissimo (quasi 7 mila spettatori) i ceresiani giocano la finale di Coppa Svizzera contro il temibile Grasshopper. Per la stampa zurighese le cavallette faranno un solo boccone dei “tessiner”. Il Grasshopper è forte, molto tecnico ed è probabilmente la miglior compagine del paese. Ma sull’altro fronte gioca Sturzi, attaccante di razza, oriundo (o quasi) di grande spessore umano e calcistico: alle rete iniziale di Adam, risponde lui trasfor-mando un rigore. La partita è tesa, l’equilibrio è sovrano. Ai supplementari, però, viene rotto da un missile di Aldo Poretti. Minuto 118. Il Lugano vince la Coppa e il pubblico è in delirio. Poi tutti a festeggiare in Piazza Riforma, con Paolo Sturzenegger, grande capitano, ad esibire la Coppa.
Dal Mondiale a Cornaredo
Ai Mondiali delle notti magiche (1990) il Brasile è il grande favorito. In squadra ci sono degli autentici fenomeni: Bebeto, Romario, Renato, Alemao, Taffarel. Ci sono anche tre difensori simili nei movimenti e nelle giocate: i due Ricardo (Gomes e Rocha) e un certo Mauro Galvao. Il CT Sebastiao Lazaroni ha stravolto un concetto calcistico tanto caro ai brasiliani e cioè quello di vincere giocando inattacco, che in passato qualche rogna l’aveva per altro provocata (leggasi Mondiali
1982 e 1986).Schiera una difesa a tre a doppia mandata conGalvao che ne diventa il perno, il libero dietro i marcatori. La mossa tattica scatena polemicheanche se il Brasile riesce comunque a vincere ilgirone. Ma contro Maradona e l’Argentina basta un’invenzione del Pibe per mandare a casa i gialloverdi. Mauro Galvao diventa così il simbolo del fallimento e forse anche per questo motivo vede sfumare il passaggio alla Roma, alla quale era stato promesso. Poco male: il Lugano (ancora non si sa come…) lo mette sotto contratto e la piazza esulta. Siamo nell’estate del 1990: Galvao resterà sulle rive del Ceresio sino al 1996. In mezzo una serie di ottimi campionati e due finali di Coppa. Una persa (1992) ed una vinta in modo trionfale (1993). Al fianco di un oriundo nato in Argentina (Nestor Subiat) e un altro brasileiro dai piedi buoni, l’allora sconosciuto Paulo Henrique Andrioli.
Una coppia azzeccata
Il Grasshopper di Beenhakkler cade sotto i colpi del Lugano quasi senza accorgersene. Maggio 1993: dopo 25 anni i bianconeri vincono la Coppa Svizzera, la terza dopo quella del 1931 e del 1968. Il piede di Andrioli, imprevedibile e magico (anche quando il giocatore si addormenta in campo vittima del suo narcisismo e del proprio disordine tattico) e la forza del toro della Pampa, al secondo Nestor Subiat, sono decisivi. Karl Engel si coccola i due, anche se spesso va in rotta di collisione con Paulo, che a volte non è d’accordo con le scelte del Mister. Ma la coppia sfonda e i bianconeri volano. Uno straniero e un oriundo. A proposito Andrioli un giorno dirà. “Ho scoperto di avere origini ticinesi”. In Sudamerica non è inusuale storpiare i cognomi. Chissà che i suoi avi emigrati non si chiamassero Andreoli. Proprio come il grande Franco.
Dal Liverpool con tanti sogni Sturzenegger, Mauro Galvao, Paulo Henrique Andrioli, Nestor Subiat e le Coppe (vinte) del 1931 e del 1993 targate Sudamerica. Ma non è finita! No, perché l’ultimo grande trofeo, quello dello scorso anno, porta la firma e la regia di un calciatore uruguaiano, un “orientales”. Dopo gli argentini e i brasiliani, ora è il momento di un ragazzo nato in quello che un tempo veniva chiamato “la Svizzera del Sudamerica”: l’Uruguay.
Jonathan Sabbatini, è di lui che stiamo parlando, il capitano che ha sollevato al cielo la Coppa 2022, dopo una partita tutta grinta, coraggio e regia sapiente. È bianconero dal 2011 (vedere intervista di settimana scorsa) e in città ha trovato casa e un modus vivendi che ne ha fatto ormai un cittadino ticinese a tutti gli effetti. “ Sono partito dal Liverpool di Montevideo con tanti sogni. A Lugano ho realizzato quelli più belli”. Nel Lugano che ha vinto contro il San Gallo c’era comunque un altro argentino: Milton Valenzuela, difensore versatile. Anche lui, come il mitico Paolo Sturzenegger è nato a Rosario. La storia si ripete.
M.A.