Carlo Genta: sempre più società calcistiche, ma non solo, finiscono nelle mani di gruppi d’investimento arabi. Cosa c’è dietro a tutto ciò?
È la vecchia storia dell’impiego dello sport come soft power; un veicolo per essere più appetibili, in qualche modo accettati dalla comunità internazionale. In questo lo sport è un veicolo estremamente efficace e spesso anche strumento per attenuare malumori interni. Chi parlava di oppio dei popoli non aveva poi visto tanto sbagliato.
Questi acquisti fanno forse parte di una strategia espansionistica in Occidente dei suddetti gruppi d’investimento?
Non credo abbiano bisogno di comprare giocatori per espandersi in Occidente, dato che hanno le potenzialità economiche per comprarsi direttamente l’Occidente. Ad esempio l’obiettivo delle squadre d’Arabia può essere può essere quello dello sbarco in Champions League in un prossimo futuro, ben sapendo che avrebbero la disponibilità per comprarsi l’intero giocattolo.
I soldi provengono da Paesi che, più o meno velatamente, sostengono le attività terroristiche. Il Qatar, per esempio.
Vale la risposta di cui sopra. L’atteggiamento non dovrebbe essere quello del rifiuto aprioristico, ma del dialogo. E magari può essere una opportunità per portare agli occhi del mondo i problemi interni di quei Paesi. Una sorta di uso speculare del suddetto soft power; il mondo viene da voi a vedere i Mondiali, poi però racconta quello che vede intorno.
La FIFA sembra fare orecchie da mercante: lo ha fatto per i Mondiali del Qatar, vedi la questione dei diritti umani, e lo sta facendo ora con la candidatura unica per i Mondiali del 2034 che dovrebbe andare all’Arabia Saudita.
Per Fifa e Uefa contano quattrini e voti. Conta allargare la platea e massimizzare gli introiti. Credo non vedremo mai nessuno rinunciare a soldi e potere, così come non lo abbiamo visto mai. L’importante è che tutto sia chiaro. Il Qatar ha preparato i Mondialiutilizzando il ponte del PSG, facendone la sua vetrina in Europa. L’Arabia Saudita adotta un metodo diverso: la boutique se la costruisce in casa. Che poi sia attraente per il pubblico globale è tutto da dimostrare, anche se non dobbiamo sottovalutare i gusti dei giovani in ogni angolo del pianeta che molto spesso sono più interessati al singolo campione a prescindere dalla maglia che indossa, che non ai risultati e alle intere partite di una tal squadra.
Il calcio è cassa di risonanza per l’islamismo moderato, che però di moderato ha poco. Che ne pensa?
Non credo si debba sopravvalutare il calcio e il suo ruolo. Lo sport resta tale per fortuna e chi lo guarda si ferma a quell’aspetto. Non penso che i giocatori possano diventare paladini di una propaganda di questo tipo.
Il nuovo campionato creato dall’Arabia Saudita sta portando via i grandi campioni alle grandi leghe europee. Il calcio così come lo conosciamo è a rischio?
Quasi c’è da augurarselo. E mi spiego: la Superlega fallita era il manifesto di un movimento che non sta più in piedi, una specie di appello alla revisione di un sistema anacronistico. E credo contenesse molte istanze corrette e degne di approfondimento più che di demagogia. Seguo molto il basket e l’Eurolega non è altro che l’espressione di quelle istanze e mi pare funzioni in modo eccellente. In Europa c’è la Premier League che è una sorta di National Basket Association. Il resto del Vecchio Continente è in crisi nera e ora c’è quel sole nascente in Medio Oriente. La via dovrebbe essere quella di un nuovo campionato europeo per club, con una nuova governance e logiche diverse e globali. Se gli inglesi vorranno aderire, bene, altrimenti facciano pure. A quel punto dialogare col “nuovo mondo” potrebbe essere interessante. Per questo credo che non si tratti di una invasione e che non ci sia niente da fermare, anche perché fermare il fiume dei soldi è impossibile e anacronistico. Penso piuttosto che debba diventare l’occasione per costruire con coraggio, senza nostalgie e con una visione più moderna del futuro.
M.A.