Nel 2023 la popolazione svizzera è aumentata di circa 150'000 unità, raggiungendo quota 8,96 milioni di abitanti, secondo i dati presentati questa settimana dall'Ufficio federale di statistica (UST). Si tratta della crescita demografica più forte dall'inizio degli anni '60.
Ma, poiché nello stesso periodo il prodotto interno lordo (PIL) è aumentato solo dell'1,3%, il PIL reale pro capite è diminuito dello 0,4%, rileva domenica il “SonntagsZeitung”. "Il PIL pro capite è il vero indicatore del benessere", spiega Mathias Binswanger, professore di economia alla Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale a Olten (SO). "Se esso diminuisce, significa semplicemente che diminuisce anche il benessere medio delle persone in Svizzera", afferma.
In passato si è verificato diverse volte un calo del PIL pro capite, ma solo in tempi di crisi o recessione. Ciò è avvenuto durante la crisi petrolifera della metà degli anni ’70, durante le recessioni del 1982 e all’inizio degli anni ’90, dopo lo scoppio della bolla delle dot-com, durante la crisi finanziaria del 2008, nonché durante il 2020. Questa volta invece, il PIL diminuisce per la prima volta in una fase economica favorevole.
Questo fenomeno porta a problemi quali la carenza di alloggi, l’espansione urbana incontrollata e lo stress legato alla densità. Inoltre uno studio dell’Università di Friburgo ha concluso che circa un quinto dell’aumento dei prezzi immobiliari è da attribuire alla libera circolazione delle persone. Secondo lo studio, ogni percentuale di immigrazione ha aumentato i nuovi affitti del 7%.
Un cambiamento di tendenza non è in vista: nella prima metà del 2024 l’afflusso di migranti è rimasto elevato. Binswanger ritiene che la Svizzera dovrebbe chiedersi se abbia senso perseguire una crescita che crea problemi senza aumentare il benessere. Il professore mette in discussione soprattutto la politica di promozione della piazza economica svizzera che mira ad attirare le imprese nel nostro Paese per creare più posti di lavoro.