Sport, 14 novembre 2024

“A Maggia i migliori anni. Locarno, quante emozioni!”

Paul Schoenwetter racconta la sua vita trascorsa tra la Baviera e il Ticino

LUGANO - È arrivato 40 anni fa a Locarno (e nel Locarno) per provare una nuova esperienza e da allora non si è più mosso. Ripercorriamo con Paul Schoenwetter, le tappe di una storia d’amore nata tra il nostro cantone e il bavarese più ticinese che c’è. 


Paul, si ricorda il suo primo impatto con il Ticino?
Parto in auto da Monaco in una tipica giornata di novembre, fredda e con la pioggia. Dopo qualche ora di viaggio arrivo in Ticino e vedo la gente seduta nelle terrazze dei bar con le maniche corte. Il primo pensiero? Siamo davvero al sud. E detto da uno che viene dalla Baviera, il Land più meridionale della Germania… Insomma, lascio la nomea di “terrone” tedesco per venire a prendere quella di “terrone” svizzero. E tutto questo facendo guadagnare anche un discreto gruzzoletto al Monaco 1860. Una situazione “win-win”.


Si ricorda gli inizi?
Cominciammo male, con due sconfitte, la seconda delle quali arriva dopo un rigore sbagliato a Chiasso. Poi c’è la tumultuosa partita al Lido contro il Bulle, entrata poi nell’immaginario collettivo dei tifosi delle bianche casacche: siamo avanti per 1-0, entro in area e vengo falciato. L’arbitro giudica che ho simulato, mi ammonisce e vengo espulso per somma di ammonizioni. Finirà con una sconfitta per 21, ma va peggio al direttore di gara, che rimane due ore nello spogliatoio assediato da centinaia di tifosi. Una serata a suo modo memorabile.


Poi arriva l’annata d’oro…
Ci salviamo con relativo agio; durante l’estate arrivano dei buoni rinforzi ed in particolare quel fuoriclasse di Kurt Niedermayer dallo Stoccarda. Il 198586 è un anno incredibile, in cui si scatena una tempesta perfetta che ci porta a vincere il campionato di DNB e ad essere promossi in DNA. Abbiamo una formazione ideale per quei tempi, con Kurt a dirigere la squadra e come allenatore Toni Chiandussi, un condottiero e gestore di uomini. Il vero segreto è però un altro: i titolari sono 12 o 13, gli altri giovani desiderosi di imparare il mestiere. Con delle gerarchie chiare e un gruppo coeso creiamo una macchina da gol, che fra campionato e Coppa Svizzera segna più di 100 reti: memorabili i trionfi sul Lugano in casa per 6-1 o ancora la cinquina rifilata al favorito del campionato, lo Chênois di Roberto Morinini.
Navighiamo sull’entusiasmo sino a fine stagione, senza pressioni ma con uno spirito di squadra eccezionale. E come logica conseguenza saliamo nella massima lega.


Il 1986-87 suona un altro spartito però.
Anche l’annata in DNA inizia bene, con una sconfitta immeritata al Wankdorf contro il campione in carica Young Boys e una rotonda vittoria in casa contro lo Chaux-de-Fonds. Dopo quattro turni abbiamo quattro punti, frutto di due vittorie. Poi c’è il crollo, che porta durante la sosta invernale all’allontanamento di Chiandussi. Arriva dalla Germania Wenzel Halama, il peggior allenatore che abbia mai avuto. Destabilizza lo spogliatoio, lo riempie di insicurezze e alla fine torniamo subito in DNB. L’unico colpevole però non paga e resta per un anno ancora. Un giorno mi faccio coraggio e gli esprimo tutto il mio disappunto dicendogli: “Puoi fare quello che vuoi, ma sappi che te ne andrai prima tu di me”. Mi delegittima, non mi fa più tirare punizioni e calci d’angolo, perdo la fiducia, mi sento inutile. Finisce la stagione 1987-88 e Halama lascia il Ticino. Paul Schönwetter è ancora qui oggi…


Paul: lei avrebbe potuto lasciare il Locarno in più di un’occasione.
Ho molte offerte da squadre di primo piano del calcio svizzero, tra il 1987 e il 1990, poi divento tra l’altro anche calcisticamente svizzero e quindi ancora più appetibile. Scelgo però di rimanere, anche contro l’opinione di Morinini, intanto diventato mio allenatore. Gli dico che c’è chi mi cerca in Svizzera tedesca e gli chiedo cosa fare: “Le valigie”, mi risponde. Io però non lo ascolto e resto in Ticino. Col senno di poi avrei fatto meglio a partire, perché avrei fatto un’esperienza ad alto livello seppur ultratrentenne.


Persona affascinante ma spigolosa, il tecnico di Gudo, vero?
Roberto aveva il pregio di essere sempre chiaro nei suoi rapporti. Se non gli stavi simpatico
o non gli piacevi come giocatore te lo faceva capire e stava a te regolarti. Al momento del mio ritiro mi ha dato la mano sul campo e ringraziandomi mi ha pregato di dargli del tu, lui che ha sempre dato del lei ai suoi calciatori. Da quel momento si apre un nuovo capitolo nella nostra conoscenza e cominciamo ad uscire assieme: ho la possibilità di vivere il Roberto extracalcio, tutt’altra cosa che il Morinini tecnico. Ho degli splendidi ricordi che mi legano a lui.


Inizia poi la nuova vita da allenatore. Dove?
A Maggia, dove dirigo un gruppo magnifico formato da gente della valle e da qualche vecchio volpone come Enrico Giani. Siamo negli Anni Novanta e ci togliamo molte soddisfazioni, tra cui anche una partita di Coppa contro il Lucerna. Sono forse i migliori anni sotto il punto di vista umano e i valmaggesi mi riempiono di affetto che io contraccambio.


Il calcio regionale è pieno di personaggi: raccontacene uno.
Di quegli anni ho un ricordo stupendo soprattutto di Lopez, il magazziniere della squadra. Gli vogliamo tutti bene perché è un uomo semplice e senza alcuna malizia, uno che fa le cose col cuore. Quando qualche anno fa è venuto a mancare mi è dispiaciuto e ho maledetto il destino che è stato così beffardo dal togliergli la vita troppo presto: non dovrebbe succedere mai… Finita quell’esperienza vado a soccorrere il Locarno che è messo male in classifica e riesco a salvarlo, dando il la per una carriera da allenatore salva squadre, continuata poi anche a Chiasso, Bellinzona e Lugano.


Il giocatore più forte con cui hai avuto a che fare?
Non ho dubbi: Oliver Neuville, che incrocio nell’ultimo mio anno da calciatore. Dal primo allenamento capisco che è un fenomeno, tanto che chiamo Ottmar Hitzfeld, che allena il Dortmund. Mi promette che lo terrà d’occhio, ma Oliver esplode e scala in poco tempo le gerarchie del calcio europeo: Servette, Tenerife, Hansa Rostock, Bayer Leverkusen, Borussia Mönchengladbach e naturalmente la nazionale tedesca, con la quale sfiora la vittoria nel Mondiale del 2002 perdendo in finale col Brasile.


E non è la sola delusione di quel “maledetto” periodo.
Per lui è un anno sportivamente tragico: perde nel giro di un mese il titolo tedesco, la finale di Coppa dei Campioni, di Coppa tedesca con il Leverkusen e poi il Mondiale, appunto, dopo avere colpito un palo in finale sullo 0-0. Andiamo in vacanza assieme in quell’estate, non parliamo di calcio e la cosa funziona. Qualche anno dopo in un’intervista dichiara che è fiero di essere tra i pochi giocatori che hanno disputato quattro finali in poco più di un mese. È diventato un uomo e io ne sono felice. Per me è stato il calciatore ticinese più forte della storia: ci si dimentica di lui solo perché non ha giocato con la maglia rossocrociata. Peccato.


Paul, che sangue scorre nelle sue vene?
Sono metà ticinese e metà bavarese, anche se ho assunto completamente la vostra mentalità. Ho poi deciso di darmi al volontariato e mi occupo di trasportare gli anziani con difficoltà motorie. Mi arricchisce e mi fa relativizzare molto i problemi di ogni giorno. Un difetto dei ticinesi? La pratica di uno sport a cui non riesco ad abituarmi: il pettegolezzo. Non so praticarlo, non è nella mia indole.


OMAR RAVANI

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