Gli eventi accaduti durante la notte di Capodanno a Milano, in Piazza Duomo, hanno scosso tutta l'Italia, ma per chi vive nel Canton Ticino, a pochi chilometri da Milano e a ridosso del confine italiano, il senso di sgomento è molto vicino. Almeno otto ragazze hanno denunciato di essere state aggredite e molestate sessualmente da un branco di uomini, principalmente di origine straniera. Un episodio che la Procura sta analizzando, considerando anche la possibile connessione con il rito islamico noto come Taharrush Gamea, una pratica di molestie collettive che ha tristemente guadagnato notorietà in eventi pubblici, come il Capodanno di Colonia del 2016.
Mentre la società civile esprime sdegno e richiesta di giustizia, dall’altra parte emergono inquietanti segnali di una mentalità che non solo minimizza quanto accaduto, ma incolpa le stesse vittime.
Colpevolizzare le vittime: le parole che indignano
A documentare questa realtà è stata una giornalista di Dritto e Rovescio, talk show italiano di Rete 4, che ha raccolto dichiarazioni da alcuni immigrati nel cuore di Milano. Le risposte ottenute lasciano sconcertati per il loro contenuto, rivelando una visione della donna profondamente arretrata e incompatibile con i valori di una società libera.
Ad esempio, a un uomo viene chiesto cosa pensi delle donne occidentali che indossano gonne corte. La risposta arriva tagliente e lapidaria: “Male. La donna musulmana è sempre dentro casa. A preparare da mangiare, a portare i figli a scuola... La legge è così”. Una sentenza che sembra quasi voler giustificare il confinamento femminile a ruoli domestici e la negazione della libertà individuale.
Un altro intervistato, interrogato sull’aggressione avvenuta a Capodanno, incalza con una domanda che suona come un’accusa: “E com’era vestita?”. La logica è chiara: il comportamento degli uomini sarebbe stato influenzato dal vestiario della ragazza. “Dipende da com’era vestita e da come sta lei. La donna è donna, non va dove ci sono dieci uomini”, aggiunge, ribadendo un concetto di colpevolizzazione della vittima che è intollerabile.
Un terzo uomo, infine, attribuisce in modo esplicito la responsabilità alle vittime: “Ha provocato lei. Secondo me sì, se ti metti in mezzo a degli uomini con una gonna corta secondo me ha provocato”. Una frase che condensa in poche parole il distacco culturale e la difficoltà di integrazione di chi, pur vivendo in Italia, non sembra accettare i principi basilari del rispetto e dell’uguaglianza.
Una questione culturale e sociale
Ciò che emerge dalle interviste non è solo un problema di sicurezza o giustizia, ma una sfida culturale e sociale. Incolpare le vittime per le aggressioni subite è un riflesso di mentalità che negano alle donne la libertà di esprimersi e vivere senza timori.
Il Canton Ticino, così vicino a Milano, non è estraneo alle problematiche di integrazione culturale e al dialogo necessario per garantire una convivenza rispettosa. Queste dichiarazioni devono far riflettere non solo sulla necessità di integrare culturalmente chi arriva, ma anche sull’importanza di educare al rispetto e alla parità di genere. Nessuna scusa culturale, religiosa o personale può giustificare atteggiamenti che ledono la dignità umana.
Fonte: Libero Quotidiano