SVIZZERA - La Svizzera si appresta a fare un passo significativo verso una maggiore integrazione nel sistema migratorio europeo. Il Consiglio federale ha infatti approvato il messaggio alle Camere sulla partecipazione elvetica al nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo. Una mossa che, secondo il governo, dovrebbe rendere il sistema “più efficiente e solidale”. Ma dietro questa retorica europeista si celano rischi evidenti.
Il nuovo Patto, adottato dall’UE il 14 maggio scorso, introduce dieci nuovi atti normativi, con l’obiettivo di arginare la migrazione irregolare e rafforzare la cooperazione tra Stati Schengen. Tra le novità principali, spicca l’introduzione di un meccanismo di solidarietà vincolante, che prevede la redistribuzione dei richiedenti l’asilo tra i Paesi membri.
Dei dieci regolamenti UE, cinque sono vincolanti per la Svizzera in quanto Stato associato a Schengen/Dublino. Le nuove disposizioni accelerano i tempi per determinare lo Stato competente a esaminare una domanda d’asilo, rendono più difficile spostare i migranti da un Paese all’altro, e introducono controlli più approfonditi — con raccolta di dati biometrici a partire dai sei anni.
Ma è proprio il meccanismo di solidarietà a destare le maggiori preoccupazioni. Dietro il termine si nasconde una logica di redistribuzione forzata dei migranti che rischia di penalizzare i Paesi più sicuri e organizzati — come la Svizzera — rendendoli destinazione preferita per i richiedenti l’asilo.
Parteciparvi volontariamente, come suggerisce il Consiglio federale, potrebbe aprire la porta a nuove pressioni migratorie, oneri finanziari e problemi di integrazione, senza un reale beneficio per la sicurezza del Paese.
In un contesto europeo sempre più instabile sul fronte migratorio, la Svizzera farebbe bene a mantenere il controllo sulle proprie politiche di asilo, evitando di seguire ciecamente Bruxelles e proteggendo la propria sovranità.