ITALIA/UDINE - Un uomo di 35 anni sarebbe stato ucciso, smembrato e occultato in un bidone pieno di calce. I sospetti ricadono su due donne a lui molto vicine: la madre e la compagna. Secondo gli inquirenti, il movente potrebbe essere legato al progetto dell’uomo di trasferirsi all’estero con la figlia e la compagna. Le due donne, contrarie alla partenza, avrebbero deciso di fermarlo con un piano premeditato.
Il quadro ipotizzato è sconvolgente: sedazione con farmaci, soffocamento, smembramento del corpo, occultamento. Ma nonostante la gravità, nessuno usa il termine “maschicidio”. Al contrario, si parla di “tragedia familiare” e si cercano attenuanti: depressione post partum, legame affettivo, raptus emotivo.
Se le vittime fossero state donna e bambina, oggi si parlerebbe di femminicidio, patriarcato, emergenza sociale. In questo caso, invece, domina un silenzio quasi imbarazzato. Le indiziate vengono descritte come “provate” e “visibilmente scosse”, mentre l’attenzione mediatica si concentra sulla loro sofferenza, non sulla brutalità del gesto.
È lecito allora chiedersi: esiste solo il femminicidio? Quando a morire è un uomo, non si tratta mai di un problema sociale? La giustizia farà il suo corso, ma l’opinione pubblica deve riflettere sull’asimmetria di trattamento tra i generi, anche nelle tragedie più estreme.