Quando uno straniero chiede di essere naturalizzato, deve dimostrare di essere integrato nel tessuto sociale. Spesso fa affidamento a amici e conoscenti che testimoniano l'integrazione del candidato in Svizzera. Ma a quanto pare, avere conoscenze che non hanno un nome tipicamente svizzero può portare a complicazioni. Lo dimostra una lettera della Segreteria per la Migrazione (SEM) indirizzata a una donna della Macedonia del Nord di 34 anni, sposata da quindici anni con uno svizzero. Come rivelato domenica dalla "SonntagsZeitung", dopo aver vissuto all'estero, la coppia è tornata in Svizzera da sei anni e la donna ora desidera ottenere un passaporto svizzero.
La donna ha quindi fornito tutto il necessario per la sua naturalizzazione, comprese referenze da amici, vicini, conoscenti che attestano la sua riuscita integrazione. Ma con loro grande stupore, la SEM ha ritenuto che i nomi delle persone elencate non suonassero "abbastanza svizzeri". Ha quindi richiesto nuove referenze, specificando che questa volta le persone dovevano essere "cittadine svizzere per discendenza".
Questo ha fatto trasalire la Consigliera nazionale Céline Widmer (PS/ZH). "Una simile pratica non è compatibile con i valori della Costituzione", ha ricordato al Consiglio federale in un'interpellanza. "Ciò suggerisce anche che persone con determinati nomi non possano essere svizzere per discendenza, il che è discriminatorio". Ha sottolineato che ci sono anche svizzeri di discendenza che non hanno mai vissuto nel nostro Paese.
Widmer nella sua interpellanza ha quindi invitato il Consiglio federale ad affrontare la questione perchè ritiene che questa pratica è inaccettabile. Ma per il Consigliere nazionale Pascal Schmid (UDC/TG), non c'è alcun problema. Sottolinea che la legge sulla cittadinanza distingue anche tra acquisizione della cittadinanza per discendenza e per naturalizzazione. Aggiunge: "Ovviamente, non dovremmo elencare come referenti le persone che sono state appena naturalizzate". Tuttavia, Barbara von Rütte, professoressa di diritto della migrazione all'Università di Berna, ritiene che questa pratica costituisca effettivamente una violazione del principio di parità di trattamento tra i cittadini.