In Svizzera c’è chi, evidentemente afflitto da ansia da status, guarda alle istituzioni internazionali come centri depositari di ogni scienza infusa, che si servono dei migliori pensatori e sono in grado di partorire idee da condividere sempre, e in ogni caso. Quando qualcuno ne mette in discussione progetti e modus operandi, viene semplicemente ignorato.
Quello che non piace sentire a nessuno è che, a cominciare dall’ONU e dalle sue costose agenzie, per finire con l’UE, c’è una cappa di silenzio e di disinformazione di cui siamo vittime e di cui, francamente, non ne possiamo più. Ne abbiamo avuto un assaggio nell’ambito delle discussioni in seno all’Intergovernmental Panel on Climate Change sulla responsabilità dell’uomo nei cambiamenti climatici. Opinioni differenti non sono ammesse.
La Svizzera versa ogni anno oltre 500 milioni di franchi all’ONU, un organismo che pensare di influenzare anche lontanamente è quantomeno puerile, dimenticando le responsabilità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in guerre umanitarie che hanno provocato e stanno provocando centinaia di migliaia di morti o gli imbarazzanti silenzi su crimini di guerra di cui non si parla per non turbare l’assetto internazionale o i lavaggi del cervello finalizzati a creare un pensiero unico a livello planetario sulla teoria del gender.
Eppure, secondo uno studio dell’ETH di Zurigo realizzato due anni fa, le idee degli svizzeri a proposito delle organizzazioni internazionali sono chiare: il 95% è a favore della neutralità; l’85% contro l’adesione all’UE, l’82% a favore di un esercito di milizia; l’81% contro l’adesione alla NATO; il 76% favorevole all’autonomia economica e politica; il 58% contrario all’appartenenza al Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Però c’è chi, in spregio della volontà popolare, ci spinge verso le braccia di organizzazioni da cui sarebbe bene rimanere alla larga. Che si tratti di discussioni sul clima, del ruolo dell’ONU e della
NATO o dell’Ue (e dell’Accordo quadro), ci mentono.
Il disprezzo che si ha nei confronti della volontà popolare ha una lunga storia alle spalle. Nel 1999, pochi mesi dopo l’attacco della NATO alla Serbia, il periodico Zeit Fragen rivelò che gli aerei dell’Alleanza atlantica si erano esercitati in Vallese. Lo scoop, invece di suscitare clamore, venne silenziato. Così come, pochi mesi dopo, calò il silenzio sulla notizia che i soldati svizzeri presenti nell’ambito di una missione ONU erano stati fotografati armati di tutto punto, invece di essere disarmati come prevedeva lo status del nostro Paese (visto che, nel 1994, la proposta di creare Caschi blu elvetici al servizio dell’ONU era stata bocciata). Anche su quello scoop calò il sipario: il Consiglio federale aveva in agenda l’adesione della Svizzera all’Organizzazione delle Nazioni Unite e certe notizie avrebbero potuto comprometterne la realizzazione.
Spiace costatare che, per far accettare progetti e visioni di istituzioni internazionali, giochino sporco. Nell’opuscolo della votazione sul primo pacchetto dei Bilaterali si parlava di un numero massimo d’immigrati che, oggi, è sette volte superiore a quanto ci avevano assicurato. Nel 2005 avevano giurato che Schengen e Dublino sarebbero costati 7,4 milioni di franchi all’anno. Nel 2016 ne costavano 92,5. Ci avevano detto che i Bilaterali non avrebbero portato alcun svantaggio commerciale: l’università di San Gallo ha dimostrato che i provvedimenti dannosi dell’UE, ogni anno, arrecano danni alle esportazioni elvetiche per 17 miliardi di franchi.
Nessuno vuole una Svizzera isolata e chiusa in se stessa. Al contrario, la vogliamo fedele alle proprie tradizioni, anche in campo umanitario, aperta quanto basta per tutelare i nostri interessi nazionali. Occorre semplicemente trovare il giusto equilibrio, facendo nostro un motto del Lussemburgo: “È bellissimo rimanere ciò che si è”.
Michele Moor
Consiglio Nazionale
Lista 1 Candidato 4
Michele Moor
Consiglio Nazionale
Lista 1 Candidato 4