Per chi non lo sapesse, il tecnico nato a Rio de Janeiro nel 1952 è uno dei più quotati nel paese sudamericano. Ci fu un tempo, nel 2011, che entrò addirittura nella speciale classifica dei 30 allenatori più pagati al mondo (nel Fluminense percepiva quasi 4 milioni di franchi). I tifosi bianconeri sono fiduciosi: con lui, e con qualche rinforzo adeguato magari proveniente dal “pais do futebol”, il Lugano torna a sognare. Anche se uno dei nuovi investitori, lo stesso De Souza di cui sopra, avverte: “Non vogliamo stravolgere nulla, la base sarà quella che ha ottenuto il quarto posto”.
Con Zico ai Mondiali
Abel Braga nasce a Rio de Janeiro negli anni Cinquanta. Il presidente Getulio Vargas, accusato di aver pianificato un attentato (fallito) ad un giornalista dell’opposizione, si porta una pistola alla testa e preme il grilletto. Un suicidio che mette fine ad un’era di grande instabilità politica. Non ci sono ancora i militari al governo mentre il calcio è fermo allo choc provocato dal Maracanazo. Abel entra giovanissimo nel Fluminense. È alto, forte, un duro: un perfetto difensore centrale, ruolo che non piace ai brasiliani che si ubriacano con i dribbling degli imprendibili attaccanti Garrincha e Pelè. Il giovane Abelao (come viene chiamato dagli amici e dai compagni di squadra) vince da riserva alcuni titoli regionali ma è soltanto nel Vasco da Gama che diventa titolare inamovibile. Stagioni indimenticabili che gli valgono la convocazione in Nazionale e la partecipazione ai Mondiali del 1978 in Argentina. È il Brasile di Claudio Coutinho, e di un gruppo favoloso: Zico, Cerezo, Oscar, Batista, Rivelino, Roberto Dinamite, Leao. Ci pensa il portiere peruviano Quiroga a fermarlo alle porte della finalissima con l’ignobile inciucio orchestrato da militari alpotere. Complessivamente Abel giocherà una sola volta con la maglia della Seleçao. Poi nel 1979 lascia il suo paese ed approda al Paris Saint
Germain; è uno dei primi atleti professionisti che tenta la strada verso l’ Eldorado calcistico:“Feci fatica ad adattarmi: il cambiamento fu radicale. Il Brasile mi mancava tantissimo”.
Due stagioni senza infamia e senza lode e sempre con un chiodo fisso intesta: tornare a casa.
Due stagioni senza infamia e senza lode e sempre con un chiodo fisso intesta: tornare a casa.
La famosa saudade. Finalmente nel 1981 lascia Parigi (firma per il Cruzeiro) e un anno dopo, mal gliene incolse, vedrà alcuni suoi ex compagni di nazionale crollare sotto i colpi dell’Italia ai Mondiali di Spagna. Un brutto colpo. Leggiamo dal Journal do Brasil dell’epoca: “Abbiamo giocato il miglior calcio del mondo, eppure andiamo a casa”, disse Abel Braga, che non ripudierà mai l’essenza del futebol brasiliano: dominio della palla e calcio offensivo.
Una miriade di squadre
Tutti sapevano che prima o poi sarebbe diventato allenatore: quando era giocatore lo chiamavano“lo sceriffo” per quel suo modo autorevole e deciso di dirigere la squadra. Leggeva prima degli altri il gioco e dava pure consigli al tecnico di turno. Dal 1985 sino ai giorni nostri allenerà 27 squadre, alcune per due o tre volte addirittura in sei occasioni guiderà l’Internacional di Porto Alegre (1989, 1995, 2007, 2008, 2014 e 2020). Per due mesi ha diretto anche Mauro Galvao, ex difensore del Lugano, che del tecnico carioca nei giorni scorsi hadei buoni ricordi: “ Un ottimo allenatore, deciso, caparbio. Grande cuore”.
I suoi titoli più importanti li vince proprio con l’Internacional: nel 2006 diventa campione delle Americhe vincendo la Copa Libertadores (battuto in finale il Sao Paulo) e in seguito anche il Mondiale per club (sconfitto il Barcellona di Ronaldinho). Ma è sempre con la squadra del Sud che patisce la più grossa delusione. Nel mese di febbraio scorso perde infatti per un solo punto il campionato brasiliano. Beneficiario il Flamengo. A fine gara Abelao dirà: “Avremmo meritato di vincere ma evidentemente gli arbitri hanno deciso diversamente. Che tristezza”.
Una tragedia assurda
Abel è un uomo forte, tenace, qualcuno dice indistruttibile. Ma quando nel 2017 suo figlio minore Joao Pedro muore cadendo dal balcone del suo appartamento di Rio il mondo gli crolla addosso. Nel momento della tragedia stava dirigendo l’allenamento del Fluminense, la società in cui era tornato dopo anni di assenza. Tuttavia il dolore e la sofferenza per la gravissima perdita non lo abbatteranno: supera anche delle complicazioni fisici provocate dallo stress e nel 2019 torna in sella. La grinta forse non è più quella di un tempo ma la passione resta. Abel è vivo. “ Ho ancora molto da dare al calcio. E lo faccio anche onorare la memoria di mio figlio”.
MDD
Una miriade di squadre
Tutti sapevano che prima o poi sarebbe diventato allenatore: quando era giocatore lo chiamavano“lo sceriffo” per quel suo modo autorevole e deciso di dirigere la squadra. Leggeva prima degli altri il gioco e dava pure consigli al tecnico di turno. Dal 1985 sino ai giorni nostri allenerà 27 squadre, alcune per due o tre volte addirittura in sei occasioni guiderà l’Internacional di Porto Alegre (1989, 1995, 2007, 2008, 2014 e 2020). Per due mesi ha diretto anche Mauro Galvao, ex difensore del Lugano, che del tecnico carioca nei giorni scorsi hadei buoni ricordi: “ Un ottimo allenatore, deciso, caparbio. Grande cuore”.
I suoi titoli più importanti li vince proprio con l’Internacional: nel 2006 diventa campione delle Americhe vincendo la Copa Libertadores (battuto in finale il Sao Paulo) e in seguito anche il Mondiale per club (sconfitto il Barcellona di Ronaldinho). Ma è sempre con la squadra del Sud che patisce la più grossa delusione. Nel mese di febbraio scorso perde infatti per un solo punto il campionato brasiliano. Beneficiario il Flamengo. A fine gara Abelao dirà: “Avremmo meritato di vincere ma evidentemente gli arbitri hanno deciso diversamente. Che tristezza”.
Una tragedia assurda
Abel è un uomo forte, tenace, qualcuno dice indistruttibile. Ma quando nel 2017 suo figlio minore Joao Pedro muore cadendo dal balcone del suo appartamento di Rio il mondo gli crolla addosso. Nel momento della tragedia stava dirigendo l’allenamento del Fluminense, la società in cui era tornato dopo anni di assenza. Tuttavia il dolore e la sofferenza per la gravissima perdita non lo abbatteranno: supera anche delle complicazioni fisici provocate dallo stress e nel 2019 torna in sella. La grinta forse non è più quella di un tempo ma la passione resta. Abel è vivo. “ Ho ancora molto da dare al calcio. E lo faccio anche onorare la memoria di mio figlio”.
MDD