Sport, 03 febbraio 2025

Un folle sogno di gloria finito nel lago Ceresio

2002, il suicidio di Helios Jermini, presidente del Lugano sommerso dai debiti

LUGANO - Helios Jermini arrivò nel Lugano a metà anni Ottanta. Persona di poche parole, una sfinge (così lo definitì un giornalista radiofonico), decisionista, e molto abile a far di conto. Aveva lavorato per tanti anni alla Banca del Gottardo assieme a Francesco Manzoni. Fu proprio quest’ultimo, presidente FCL, che lo convinse ad entrare in società. La sua scalata ai vertici fu rapidissima: quasi subito vice-presidente e poi amministratore e controllore della contabilità. Gestiva la parte finanziaria con la mano di ferro e nel club la sua era una voce autorevole. Non amava i giornalisti e non fece nulla per nasconderlo. Si diceva che era pure antipatico e scarsamente sensibile ai problemi dell’umanità. Accuse che con il tempo si dimostrarono infondate. Leggiamo da un articolo apparso sulla Regione l’indomani della sua morte: “Helios Jermini era un buono, con gli anni ha smussato gli angoli del suo carattere ed è entrato in sintonia con il mondo calcistico, giornalisti compresi”. 


Non tutti ovviamente, perché nessuno, o quasi, fa l’unanimità. Comunque: nel 1995, subito dopo il trionfo di San Siro (targato Roberto Morinini, con il quale aveva un forte rapporto di amicizia), Jermini diventò il numero 1 del Lugano, sostituendo Tullio Calloni, il presidente dal volto umano. Fu proprio in quel periodo che il boss di Montagnola alzò l’asticella delle ambizioni e, dopo aver digerito a malapena la relegazione del 1997, ricostrùi il Lugano con grande energia ma anche investendo soldi prelevati dai soldi dei suoi clienti, come dimostreranno poi le varie inchieste giudiziarie. “Aveva il Lugano nel cuore e voleva portarlo in alto. Un sogno folle di gloria che lo induceva a delinquere” dirà anni dopo un ex dirigente che lo aveva allertato.


Dopo aver sfiorato il titolo nel 2001 (secondo dietro al Grasshoppers), il Lugano cominciò la sua discesa verso gli inferi. L’anno successivo cominciarono ad uscire notizie inquietanti: il club è sommerso dai debiti e rischia il fallimento. Notizie smentite dal presidente, anche se tutto lasciava intendere che il destino fosse segnato. Del resto, un paio di anni prima Jermini si era affidato al presunto imprenditore romano Pietro Belardelli per risanare le casse. Quest’ultimo, un ciarlatano come dimostreranno le inchieste e il suo percorso personale (finì anche in galera per sospetto riciclaggio), promise mare e monti ma alla fine se ne andò, lasciando Jermini in brache di tela.


Nei pressi di Brusino
Ad inizio marzo 2002, il presidente scomparve discena. Due giorni prima, era presente a Ginevra in tribuna ad assistere alla sfida fra Servette e Lugano. Nulla lasciava presagire a ciò che sarebbe successo. Ma il giorno 7 la sua macchina e il suo corpo senza vita furono ritrovati sul fondo del lago Ceresio nei pressi di Brusino. Gli inquirenti scartarono subito la tesi del delitto: dai risultati dell'autopsia, si appurò che sul corpo di Jermini non c’erano tracce di ferite o di colpi legati ad una qualsiasi aggressione. Per il Lugano e il mondo del calcio fu una brutta botta. Il club rischiava davvero il fallimento: venne a galla che una grossa fetta dei soldi sottratti ai clienti erano stati investiti nel club (45 milioni). Un anno dopo cadrà infatti la mannaia. La sera stessa della sua scomparsa a Cornaredo le bandiere furono issate a mezz’asta. Helios Jermini, l’uomo che aveva un sogno (folle), se n’era andato.

JACK PRAN
 

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