Alain Berset sapeva che il suo capo della comunicazione era in contatto con la stampa, ma non conosceva il contenuto degli scambi. È questo, in sostanza, la conclusione del rapporto dei commissioni di gestione dei due rami del parlamento, pubblicato venerdì, relativo alle continue fughe alla stampa di informazioni riservate relative alle sedute del Consiglio federale sulle restrizioni Covid.
Il rapporto, lungo più di 100 pagine, descrive in dettaglio il “monitoraggio dei media” che è stato condotto. I membri della squadra investigativa hanno analizzato il contenuto di 50 riunioni del Consiglio federale attorno alle quali esistevano dubbi riguardo a fughe di notizie, chiamate in gergo politico “indiscrezioni”. Successivamente hanno analizzato gli articoli di giornale e hanno constatato che, per 38 delle 50 sedute, informazioni che non avrebbero dovuto trapelare sono finite sui media prima che il Consiglio federale le comunicasse ufficialmente e pubblicamente, generalmente il giorno prima, e in particolare nei media del Ringier e del gruppo Tamedia.
Ma il rapporto praticamente si ferma qui. "Nel complesso, il monitoraggio dei media non consente di dedurre chiaramente la fonte e l'origine delle indiscrezioni né di identificare eventuali persone che erano a conoscenza delle indiscrezioni", si legge nel rapporto. Apprendiamo anche che il Consiglio federale non sapeva davvero come reagire. "Le commissioni hanno notato che si era instaurata una certa rassegnazione e che questo era uno dei motivi per cui non è stata intrapresa alcuna ulteriore azione", scrivono.
In una conferenza stampa, i deputati che hanno partecipato all'inchiesta hanno dichiarato di non avere prove per confermare che Alain Berset avesse mentito. Ma, nel complesso, restano con una certa amarezza. "Le commissioni si rammaricano molto che il Consiglio federale, come organo, non sia riuscito finora a gestire in modo più efficace il problema delle indiscrezioni", scrivono nel rapporto.